sabato 4 ottobre 2008

ALEXIS O IL TRATTATO DELLA LOTTA VANA di Marguerite Yourcenar

Feltrinelli
Prezzo: 6,50 euro
Letto a: Ottobre 2008

Romanzo che nel 1929 segnò l'esordio di Marguerite Yourcenar nella letteratura, "Alexis" ha la qualità propria dei libri che restano nel tempo: una grandezza che si riconosce solo più tardi, come è avvenuto per l'"Opera al nero" e per le "Memorie di Adriano". E' la storia di un giovane che cerca di uscire dalla situazione falsa che mette in scacco il suo matrimonio. AL momento di abbandonare la moglie, egli le scrive le ragioni del suo distacco, chiamandola a testimone della lotta vana che ha condotto contro la propria inclinazione omosessuale. Reagendo a una prova precedente che indulgeva alla moda delle biografie romanzate ("Pindare"), la Yourcenar, ventiquattrenne come Alexis, si concentra qui per la prima volta su una vicenda delimitata, 'intimista', spingendosi in profondità nella psicologia del personaggio. L'omosessualità e il titolo stesso del romanzo richiamano un'opera giovanile di Gide, ma si avverte molto più forte l'influenza del Rilke di "Malte Laurids Brigge", a cui sono vicini il tono, gli scrupoli, la religiosità di Alexis, quella tenerezza diffusa che egli emana sulle persone e le cose. Un libro raro, e di quelli della Yourcenar uno dei pochissimi ch'ella non abbia provato a riscrivere, paga di aver detto quanto c'era da dire.


La Yourcenar è una scrittrice con cui ho un rapporto ambiguo: la sua produzione si divide, per me, in libri che sono orgogliosa di esporre nei ripiani più in vista della libreria, e libri che userei volentieri come combustibile per cuocere le castagne (okay, non sono mai riuscita ad andare oltre la centocinquantesima pagina delle Memorie di Adriano, e allora? Ma vi pare un libro leggibile?!).

Questo, per fortuna, è uno dei romanzi che occuperanno un posto di rilievo tra gli altri libri. L’ho letto in poco più di quattro ore, perché la narrazione fila via liscia come seta, con lo stile squisito della Yourcenar.
Colpisce la capacità della Yourcenar d’immedesimarsi in chiunque voglia. Il protagonista, qui, scrive una lettera alla moglie per spiegarle il motivo per cui l’ha lasciata, ovvero la sua omosessualità. L’ha sempre saputo fin da piccolo, ma ha represso ogni pensiero, ogni istinto, ogni desiderio. Ha pensato anche al suicidio, e io direi che, ancora una volta, si ha la dimostrazione di come la morale cattolica cuocia a puntino le sue vittime.

Ma il libro, ovviamente, è più di questo. E’ un trattato sull’animo umano, sulle contraddizioni che scuotono l’essere ogni secondo della sua esistenza, sul coraggio di affrontare l’opinione pubblica che parla per sentito dire e giudica, perché indignarsi è più facile che pensare.
E’ una celebrazione sull’enorme varietà della natura umana, sull’impossibilità di comprendere come certi atti considerati riprovevoli possano essere naturali e spontanei, sul sostanziale non-desiderio di un chiarimento, perché chiarire certe questioni significherebbe rinunciare alla facile visione manichea delle cose.

Tutto questo non è qualcosa che il prossimo deve correggere: è qualcosa che noi dobbiamo correggere. Mettendoci una mano sul cuore e prendendo coscienza delle tante situazioni in cui giudichiamo senza sapere. Perché è facile dichiararsi aperti di mente sulle macroquestioni (guerra e pace, laici e cattolici, omo e etero), ma su tutto il resto? Sulle persone che ci sono davvero vicine, e non su una generica e astratta umanità? Non abbiamo tutti i nostri cattivi, le nostre categorie antagoniste? Con questo romanzo io ho scoperto di averne. E me ne sono vergognata.

Che dire, grazie Marguerite.


Vi sono momenti della nostra esistenza nei quali noi siamo, in modo inspiegabile e quasi agghiacciante, ciò che più tardi diventeremo.


Non vede perché il piacere, in quanto pura sensazione, debba essere un male, mentre non si disprezza il dolore, che è pure una sensazione. Si rispetta il dolore perché non è volontario, ma c’è il problema di sapere se il piacere lo è sempre, o se per caso noi non lo subiamo. Comunque, questo piacere liberamente scelto non mi pare per questo più colpevole.

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