giovedì 2 ottobre 2008

L'AMORE IN SE' di Marco Santagata

Guanda
Prezzo: 8 euro
Letto a: settembre 2008

“Bubi è il nome del desiderio”. E’ questa la frase che una mattina d’inverno risuona –incongrua, sconveniente, quasi surreale- in un’aula dell’università di Ginevra, mentre il professor Fabio Cantoni spiega un sonetto di Petrarca a un gruppo di studenti. Ma è stato solo un lapsus: il professor Cantoni voleva dire “Laura”, naturalmente. Eppure il fatto che proprio quel nome e proprio in quel momento sia affiorato dalla memoria deve avere un senso… Alla fine di questa giornata diversa da tutte le altre il professor Cantoni scoprirà che è proprio l’aver accettato la nostalgia e il dolore che compongono la memoria a permettergli di stabilire un rapporto più limpido e, forse, pacificato con la sua vita presemte, e la futura.

Mi vergogno di ammettere che, nonostante Santagata sia una cima dell’università di Pisa, in quattro anni non ho mai seguito un corso con lui, né l’ho sentito parlare in conferenza, né l’ho mai incrociato per strada.
Se proprio devo dirla tutta, del fatto che il Santagata professore di Informatica Umanistica di Pisa e lo scrittore vincitore del Premio Campiello e del Bellonci fossero la stessa persona, ne ho preso coscienza solo quando, da Feltrinelli, ho letto la quarta di copertina di uno dei suoi libri.
ero indecisa tra “Il maestro dei santi pallidi” e “L’amore in sé”, poi ho optato per il secondo, perché aveva la trama che mi attirava di più.
E devo dire che non è stato affatto un errore. Uno dei dilemmi che più spesso mi perseguita, ultimamente, è la frattura tra il mondo accademico e quello non accademico. Parlo del campo umanista perché è il mio. Mi chiedo, a che serve tanta cultura, se poi non sappiamo come trasmetterla al mondo, o peggio, dal mondo ci distacchiamo proprio? A che serve imparare ad applicare certe decodifiche, conoscere la terminologia specifica, sapersi orientare perfettamente laddove molti sono ancora alle prime armi, se poi il nostro unico interlocutore è il testo stesso? A che serve, insomma, approfondire sempre di più lo studio umanista, se questo, invece di farci aprire al mondo, ci rende incapaci di comunicare con le persone che il mondo lo costituiscono?
Santagata, con questo romanzo, opera, secondo me, un tentativo di congiungere la specificità del sapere umanista accademico con la vita. Quella più umana, più sanguigna.
Un’operazione molto delicata, e di non facile riuscita. Soprattutto quando a intrecciarsi sono l’analisi critico-filologica di un sonetto del Petrarca e il racconto del primo amore adolescenziale.

Possono i versi degli stilnovisti diventare cornice e sfondo del resoconto, un po’ alla dawson’s creek, del primo batticuore, del primo bacio, senza che il risultato sia un ridicolo patchwork di sapere universitario e storie da “posta del cuore”?
Sì. Santagata ha fatto in modo che fosse così. E tra le decine di versi che s’intersecano con le storie dei personaggi e le descrivono alla perfezione, emerge, chiara, la possibilità che il potenziale della poesia, anche quando viene trattata agli “alti livelli” delle facoltà umanistiche, sia dato proprio da quelle piccole cose, quei luoghi comuni amorosi (il primo batticuore o il primo sguardo, appunto), che noi, dall’alto del nostro cinismo di “persone andate oltre”, siamo abituati a deridere.
Eppure certe emozioni non andrebbero dimenticate, mai. Anche quando sembrano “basse” o ridicole.

Perché mischiare l’alto e il basso si può. Si può scendere dalle vette dell’intellectual radical chic per instaurare un ponte di comunicazione vividissimo con il mondo, senza sentirsi contaminati con le volgarità della realtà di tutti i giorni.

Grazie a Santagata per avermi rivelato l’esistenza di questa possibilità.


“Adesso che è arrivato al punto si chiede se lo ha fatto come sfida alle proprie capacità di interprete o se invece è stato spinto da una oscura premonizione. Perché adesso, in un singolare miscuglio di chiarezza e commozione, percepisce che tanta angoscia esistenziale è pur sempre impastata di amore, amore per una donna…”

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